Il Supplizio di Dirce o Toro Farnese, è un gruppo scultoreo ellenistico in marmo e conservato presso il museo archeologico nazionale di Napoli.
Dalle proporzioni considerevoli (altezza mt 3,70, base di mt. 2,95 per lato), è la più grande scultura dell’antichità ritrovata fino ad oggi, ricavata da un unico blocco.
Trovata nel 1546-47 a Roma, nelle Terme di Caracalla e collocata nel secondo cortile del Palazzo Farnese, fu poi spostato a Napoli, prima nella Villa Reale e poi, nel 1826, nel Museo Nazionale, ove si trova tuttora. Copia romana di età antonina di una scultura di Apollonios e Tauriskos di Tralle, attivi intorno alla metà del I sec. a. C. e descritta da Plinio nella sua Naturali historia (xxxvi, 33-4).
Nel quadro di un ricco paesaggio roccioso è rappresentato il supplizio di Dirce legata al toro da Anfione e Zeto per vendicare la schiavitù della madre Antiope, presente alla scena. Nella scena appaiono altri personaggi secondari, aggiunti nel ‘500 o nel ‘700: un cane, un bambino e una seconda figura femminile, quest’ultima raffigurante forse Antiope. Zeto si trova a sinistra del gruppo se visto in posizione frontale. Il ragazzo cerca di bloccare il toro trattenendolo per le corna. Intanto Anfione cerca di tenere il toro tirando la corda con la quale verranno legati i capelli della regina Dirce alle corna dell’animale. In basso è poggiata una lira che gli appartiene. La madre dei due ragazzi, Antiope, invece, si trova dietro di loro, in secondo piano e osserva immobile la terribile scena. La donna stringe nella mani un tirso. Anche un pastore e un cane, in basso, sono presenti e guardano verso l’alto.
Esiste tuttavia un’altra ipotesi più recenti sull’identificazione della scultura: si ritiene che l’opera descritta da Plinio non fosse quella del Toro Farnese in quanto alcuni dettagli stilistici potrebbero far risalire l’opera al periodo severiano (III secolo d.C).
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